Comunicato Stampa- Festival dei Matti XIV edizione- Primavera non bussa. Futuri ri-belli

Festival dei Matti

XIV edizione

PRIMAVERA NON BUSSA. Futuri ri-belli

30 maggio /2 giugno 2024

Venezia

Alcuni mondi piegano il tempo a venire incatenando all’esistente ogni possibile esistere. Mondi di futuri fasulli, copie di un passato a cui è impedito di passare. Del nostro mondo si dice lo stesso: che abbia già scritto ogni cosa, che niente possa sottrarsi al suo ordine, che il filo d’acciaio della sua sintassi implacabile (neoliberismo, biopolitica, intelligenza artificiale, catastrofi ecologiche, guerre, disuguaglianze e discriminazioni senza pari) detti regole ad ogni accadimento, lo plasmi, lo addomestichi, lo recuperi. Si dice che non verrà mai permessa altra scena, che il suo corso non sarà più deviato. Eppure, a tratti, accade qualcosa che non era previsto, qualcosa che irrompe a scardinarne l’assetto, a tagliarne la trama compatta. Qualcosa che, senza permesso, invade lo spazio, annunciando alfabeti sorgivi e una lingua tutta da inventare. Chiamiamo follia questo taglio? Lo chiamiamo rivolta? Vogliamo chiamarlo primavera perché la primavera non bussa, E ha in corpo futuri ri-belli.

A fine maggio prende avvio la XIV edizione del Festival dei Matti (30 maggio/2 giugno), un’iniziativa culturale indipendente che a Venezia, da molti anni, si interroga e interroga la cittadinanza sulla questione del rapporto tra follia e normalità, tra salute e sofferenza mentale. Al di là dei discorsi e dei gesti tecnici che contrappongono queste dimensioni rendendole drammaticamente disgiunte e diseguali, il Festival dei Matti interpella i versi dei poeti, le immagini di fotografi, registi, artisti, le parole delle scienze umane, la musica, la voce di chi ha attraversato esperienze di sofferenza psichica riaprendo giochi e prospettive su temi che riguardano la vita di ciascuno di noi. Come singoli e come comunità.

Primavera non bussa. Futuri ri-belli”, il titolo di questa nuova edizione, vuole essere un auspicio e un antidoto a un tempo gravido di minacce, a un lungo inverno di ferro e di fuoco, distruzioni, catastrofi ambientali, sopraffazioni, nuove e vecchie forme di esclusione, abusi, sofferenza senza cura.   

Insieme a moltissimi ospiti -Ernesto Venturini, Stella Goulart, Juliana Saúde Barreto e Rafael Costa, e Massimiliano Minelli, Francesco Vacchiano, Anna Toscano e  Gianni Montieri, Mariasole Ariot e Francesco Deotto, Massimo Cirri,  Erika Rossi, Gisella Trincas, Francesca Coin, Francesca Re David, Ilaria Cucchi, Luca Rondi, Stefano Cecconi, Marica Setaro, Mario Colucci, Miguel Benasayag, Ken Loach, Accademia della Follia, i collettivi Nuova generazione, e Assemblea di Salute e Cura di Padova, Teatro dell’oppresso, S’Ambarkamo- il Festival porterà in scena la primavera cantata da Fabrizio de André, che non bussa, entra sicura e prende per mano, sul filo di quella stagione culturale e politica che Franco Basaglia ha inaugurato e che per noi non smette di durare.

Partiamo giovedì 30 maggio, ospiti del bellissimo Auditorium di M9- Museo del ‘900, con l’incontro “Franco Basaglia in Brasile. Una primavera che non passa”, insieme a Ernesto Venturini Stella Goulart e agli artisti Juliana Saúde Barreto e Rafael Costa, a parlare del lascito delle parole che Basaglia pronunciò in Brasile nel 1979, l’anno prima della sua prematura scomparsa. In una serie di incontri che lo videro confrontarsi con moltissime persone, tra addetti ai lavori, cittadini comuni, studenti a San Paulo, Rio de Janeiro, Belo Horizonte e divennero miccia di un discorso che in Brasile continua a generare pensiero critico, lotta alla violenza istituzionale, mosse di rianimazione sociale collettive di cui i matti sono i protagonisti principali. Persino una  giornata nazionale ( il 18 maggio) di lotta antimanicomiale. Vedremo immagini di quella giornata, assisteremo a una performance,  ci interrogheremo su come sia potuta accadere una presa che oggi, in Italia, nonostante la straordinaria rivoluzione culturale che ha portato all’emanazione legge 180, sembra svuotata, resa innocua o comunque sospinta nelle retrovie del discorso e delle pratiche di salute mentale egemoni nonostante quella legge e le tante celebrazioni per il centenario della nascita di Franco Basaglia che ricorre quest’anno.

La sera, Anna Toscano e Gianni Montieri ci racconteranno le primavere “senza calendario” di Goliarda Sapienza e Juan Carlos Onetti, scrittori dislocati fuori del tempo ordinario.

Venerdì 31 maggio nell’incantevole chiostro ’Accademia di Belle Arti, apriamo la giornata con il laboratorio del teatro dell’oppresso “Disa(r)marsi” Di amori e dis-amori. Del sentirsi disarmati di fronte a modelli che non ci appartengono, del volersi disarmare di fronte alla violenza che prende il sopravvento” curato Maddalena Martini insieme a Claudia Antonangeli e Alessia Mongelli.

Alle 16.30 studentesse e studenti dell’Accademia di Belle Arti e di Ca’ Foscari racconteranno del confine tra follia e normalità, del nostro stare a cavallo tra due dimensioni che ci abitano a partire dal confronto tra le proprie esperienze, inclinazioni, desideri e con gli attrezzi della loro diversa formazione.

A seguire alle18.00 con Ilaria Cucchi, Stefano Cecconi, Antonio Esposito e Luca Rondi parleremo dell’inverno della “Sicurezza”, i luoghi “chiusi” dell’istituzione totale- carceri, centri per il rimpatrio, residenze per la misura di sicurezza, reparti psichiatrici- luoghi di violenza legalizzata, aria sottratta, avvelenamenti e fughe chimiche, erosione dei diritti. E degli antidoti collettivi ancora da inventare.

Alle 20.30 “Vogliamo il pane e anche le rose” un dialogo videoregistrato che Ken Loach ha regalato al nostro Festival. Un bellissimo incontro con un grande regista che non smette di portarci primavere di parole e immagini, grazie al suo meraviglioso impegno civile contro ipocrisia, disuguaglianza, meccanismi burocratici schiaccianti e politiche che inchiodano la working class ad un male di vivere senza apparente via d’uscita. A seguire la proiezione dell’ultimo film di Ken Loach, The old Oak, in cui la questione identitaria, in tutta la sua ferocia, apre il solco di un possibile riscatto nell’insperato abbraccio tra gli ultimi e nella costruzione di legami sociali nella differenza.

Sabato 1° giugno alle 10.00 nel magnifico spazio del  Teatrino di Palazzo Grassi porteremo in scena le primavere irriverenti dei giovani di Ultima Generazione che scompaginano le regole del gioco, simulando distruzioni che non avvengono a dispetto di un ordine rassicurante e igienizzato che invece quella distruzione continuano a produrla e a nasconderla. Insieme a loro, incontreremo ragazze e ragazzi dell’Assemblea di Salute e Cura di Padova, un collettivo vivacissimo che a Padova prova a rammendare le ferite di un sociale senza comunità, che precipita ognuno, specie se povero e straniero nella disperazione, nella solitudine, nella malattia.

Nei successivi due incontri parleremo di lavoro tra alienazione e riscatto: alle 11.30 insieme a Francesca Coin e a Francesca Re David il tema sarà quello delle “grandi dimissioni”, il gesto sorprendente e inatteso con cui sempre più persone in tutto il mondo si sottraggono a contesti lavorativi di sfruttamento radicale, regole tossiche e lesive di ogni diritto, condizioni che ammalano i lavoratori, consegnando loro la responsabilità di questa stessa sofferenza.

Al pomeriggio, dopo la proiezione di  “50 anni di Clu” documentario prodotto da Cooperativa lavoratori uniti Franco Basaglia,  Massimo Cirri e Erika Rossi,  autori e regista, e Gisella Trincas, discuteranno della storia di una cooperativa di lavoro che ha accompagnato a Trieste il ritorno degli internati in manicomio alla cittadinanza, alla dignità, al riconoscimento e al contratto sociale e che, ancora oggi, garantisce opportunità di lavoro non nocive a chi il mercato escluderebbe dapprincipio.

Alle 18.30 l’incontro “Oltre le passioni tristi” realizzato in collaborazione con Writers in Conversation, Università Ca’ Foscari Venezia vedrà protagonista Miguel Benasayg, il filosofo e psicoanalista argentino che da anni si interroga sul male di vivere del nostro tempo, sui sortilegi e miti del neoliberismo, (individualismo, iperperformatività, antagonismo esasperati)  sulle storture e aberrazioni della digitalizzazione delle vite, sul futuro fattosi minaccia, ma anche, al di là delle passioni tristi,  su insperate traiettorie di cura collettiva. In un mondo che non sembra consentire alternative alla rassegnazione, al disimpegno, alla distrazione immersiva delle persone ridotte a profilo, Benasayag prefigura altri futuri possibili, nell’ alleanza dei corpi e delle vite.

La giornata di sabato si chiude con lo spettacolo “Quelli di Basaglia, a 180 gradi…” in cui l’Accademia della Follia, magistrale compagnia di un teatro che agisce da “progetto anticorpo” smontando i confini tra normalità e follia, confini geografici, culturali, di generazione, di classe. L’Accademia ritorna felicemente sulla scena del Festival con un omaggio a Franco Basaglia e alla straordinaria epopea di un movimento e di una storia che hanno cambiato i destini di migliaia di persone e sbarrato, per tutti noi, la possibilità di cadere fuori dal contratto sociale perché giudicati matti da una diagnosi che è sempre una sentenza.

L’ultima giornata di appuntamenti si apre domenica 2 giugno – sempre al Teatrino di Palazzo Grassi con l’incontro “Franco Basaglia Fare l’impossibile” a partire dalle recenti pubblicazioni di Mario Colucci e Marica Setaro, due testi importanti che riportano in luce la vocazione critica del pensiero e dell’opera di Franco Basaglia, la diffidenza dinnanzi ad ogni pacificazione dei conflitti e della cancellazione delle contraddizioni che non smettono di riaprirsi. Basaglia vi appare come un uomo determinato ma anche pervaso dai dubbi, consapevole dei rischi di una battaglia collettiva che apre le grandi questioni del rapporto tra teoria e pratica, tra scienza e democrazia, tra cura e custodia, tra un ‘esclusione che annienta e un’inclusione che recupera il diverso solo per renderlo funzionale alla propria organizzazione.

“Schegge di rivolta” è il titolo del penultimo incontro del Festival. Saranno i poeti Francesco Deotto e Mariasole Ariot a raccontare, dalla lingua insperata e bellissima del loro narrare, dell’altrove che ci abita e dei luoghi confine in cui tentiamo di trattenerlo e cancellarlo. Con uno sguardo che disloca il dentro nel fuori e il fuori nel dentro e si fa specchio delle contraddizioni di cui siamo fatti, di un dolore che è anche spiazzamento e rottura, sottrazione, dissenso e scheggia di rivolta.

Alle 17.30 torniamo al punto di partenza, al Brasile e alle sue primavere basagliane, con un incontro che proverà ad indagare con Francesco Vacchiano, Massimiliano Minelli, Ernesto Venturini e Stella Goulart da un punto di vista teorico e antropologico il lavoro di decostruzione istituzionale e le pratiche di liberazione marginali che fanno del Brasile ancora oggi un terreno sorprendente di alternativa al discorso egemonico sulla salute mentale.

A chiudere il Festival alle 18.30 saranno le percussioni dei S’ambarkamo e una danza collettiva in un campo S. Samuele a celebrare la Primavera che non bussa. E ha in corpo futuri ri-belli.