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Follie d’archivio 2010

Multisala Giorgione Movie d'essai
Giovedì 7 ottobre, 18:00-19:30

 

presentazione di alcuni film realizzati nel Laboratorio video documentario condotto da Marco Bertozzi* alla Facoltà di Design e Arti dello IUAV di Venezia

Giovedì 7 ottobre, dalle 18 alle 19.30 al Multisala Giorgione movie d'essai di Venezia, verrà proiettata una selezione di alcuni film realizzati dagli studenti del Laboratorio video documentario “Follie d’archivio”, condotto da Marco Bertozzi nel corso di Laurea in comunicazione visiva e multimediale, alla Facoltà di Design e Arti dell’Università IUAV.

Follie d’archivio è un atelier di cinema documentario dedicato al riciclo di materiali “perduti” in cineteche, pubbliche e private. Follie quali occultamenti, rimozioni, abbandoni del/dal mondo ma anche mitologie e immaginari con cui il Novecento ha assegnato compiti “improrogabili” al proprio cittadino-spettatore. Un riverbero di fotogrammi graffiati dal tempo e dall’incuria degli uomini: sottrazione di senso, deviazione di senso, immissione di senso in fotogrammi gravidi di storie e di racconti, per follie belliche e politiche, razziali e medicali, mediali e tecnologiche, industriali e paesaggistiche…

Un ringraziamento speciale a:

Museo Nazionale del Cinema - Torino

Cineteca del Friuli - Gemona

Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico - Roma

Home Movies - Associazione per il Film di Famiglia – Bologna

Fondazione Claudio Buziol - Venezia

 

Saranno proiettati i seguenti documentari:

Errare   

di Francesco Pedrini

6' 08''

"errare" è un viaggio nell'errore. Le immagini sono una selezione tratta dall'archivio homemovies "cinescatti" di Bergamo. Ho ritenuto interessante selezionare ciò che in genere viene scartato: l'errore, il fuori controllo, il non programmato. Sfocature, fine pellicola, "bruciature", sottoesposizioni, prove, sono impiegate nel comporre una sinfonia poetica che porta altrove. Le immagini e il suono si fondono in un folle racconto dell'errore che, inaspettatamente, assume un potere ipnotico che ci invita a cogliere l'inaspettato. 
 

La scena emisferica

di Riccardo Giacconi e Daniele Zoico

16’ 35’’

"Ho sempre avuto preferenza per le cose semplici. La storia di Frankie Fredericks mi ha sempre affascinato. Fin dal primo viaggio in Namibia, ho capito che le cose degli uomini rimangono spesso legate ai paesaggi della loro infanzia, che spesso ci rimangono dentro e ci influenzano la vita dovunque siamo; ci girano dentro ed emergono all'improvviso a determinarci gli esiti dei nostri gesti. Ci vengono fuori, come funghi".

 

Hi - Faithfool        

di Pietro Berardi, Valentina Ciarapica, Francesco Scarpa

7’ 46’’

 Momenti di vita quotidiana tratti da filmati di famiglia, scene di guerra e immagini legate alla documentazione di eventi eccezionali si alternano in un montaggio che segue un percorso logico “emozionale” piuttosto che narrativo.

Nel caso di questo film il fine non è la diffusione di informazioni bensì la messa in dubbio dell'alta definizione che si basa sulla rappresentazione del reale in modo sterile e asettico. Le immagini tratte da vecchie pellicole si contrappongono a tale rappresentazione rivendicando la loro pregnanza: materia e senso.

 

Diari Apparenti

di Ilaria Battistella, Elisa Calore, Francesca Coluzzi e Silvio Lorusso

8’ 05’’

Dal cinema delle attrazioni al calderone youtube, passando per il found footage di filmati familiari emerge l’ossessione collettiva del mostrare se stessi e il conseguente esibizionismo, aspetti ambigui del vivere contemporaneo.

Frammenti di vita, momenti privati, riflessioni personali e spunti critici si accumulano in una sovrapproduzione caotica, in cui per costruire la propria identità si sostituisce all’essere l’apparire, nella modalità del raccontarsi e del farsi immagine.

 

Male d’Amore

di Marta Santomauro

10’ 35’’

Male d’Amore propone una visione del tarantismo pugliese attraverso immagini di documentazione storica mediate da un’interpretazione poetica ed emotiva che colloca in posizione centrale la figura femminile e il legame, inscindibile e allo stesso tempo interrotto, tra il suo corpo e la sua psiche.

Entrano in gioco la magia, la credenza popolare, il simbolismo e la fragilità psicologica con lo scopo di quello di mettere in luce la parte più intima, fisica e suggestiva del tarantismo trasformando in convenzione l’abitudine popolare di dare nome di tarantate a donne sopraffatte dal male di vivere.

 

L'incubo di Andrea

di Federico Bovara, Luca Coppola, Andrea Facchetti

10' 21"

Originario di Saronno, Andrea lavora a Quarto d’Altino come scultore free-lanche alla Geomodel, un laboratorio specializzato nella riproduzione a grandezza naturale di animali preistorici. In più, ha allestito uno studio personale a Treviso dove realizza make-up effects per il cinema ed altro. In generale il suo lavoro consiste nella riproduzione iper-reale della realtà. 
L’incubo di Andrea consiste in una visione all’interno del mondo della rappresentazione del reale attraverso il lavoro del protagonista. Una narrazione spesso interrotta da immagini visionarie che, utilizzando sia le abilità di Andrea sia la naturale predisposizione metalinguistica del cinema, mettono in discussione la veridicità del film stesso e generano una riflessione sul rapporto tra rappresentazione e realtà.

 

Marco Bertozzi dopo la laurea in Architettura (con un film documentario) e il dottorato in Storia e filologia del cinema al DAMS di Bologna e all’Università Paris VIII fa parte di quel gruppo di autori che   contribuisce alla rinascita del cinema documentario italiano. L’impegno teorico (tra i suoi libri, L’idea documentaria, 2004 e Storia del documentario italiano, 2008, Premio Domenico Meccoli e Premio Limina Awards 2009 quale miglior libro di cinema dell’anno), le attività didattiche (al Centro Sperimentale di cinematografia di Roma e attualmente all’Università IUAV di Venezia) e di promozione culturale del cinema del reale si uniscono all’attività di filmmaker. Tra i suoi film:  Appunti romani (2004, vincitore dell’Art Film Festival di Asolo, del Mediterranean Video Festival di Paestum, dell’Ischia Film Festival e di Big Screen Exhibition, in Cina), Rimini Lampedusa Italia (2004, premio Roberto Gavioli per il miglior documentario sul mondo del lavoro), Il senso degli altri (2007, vincitore del “Sole e luna International Doc Festival” di Palermo), Predappio in luce (2008, in concorso all’International Film Festival di Roma).

 

 


C'era una volta la città dei matti di Marco Turco (180' Italia)

Multisala Giorgione movie d'essai 
20.00 - 21.30 prima parte
21.45 - 23.15 seconda parte

Un film di Marco Turco. Con Fabrizio Gifuni, Vittoria Puccini, Michela Cescon

Le telecamere di Franco, via alla liberazione

di Toni Jop L'Unità

Vado non vado vado», e andava, eccome, davanti alle telecamere. Magari dopo aver riflettuto con Franca, sua compagna nonché formidabile intellettuale, su quel conduttore che era «mona» , ma ci andava. Niente vanità, tranne forse una e neppure troppo piccola: era convinto di essere lui ad usare la tv enon viceversa. Aveva torto o ragione? Per chi come noi lo ha seguito passo passo, tenuto conto del fatto che la tv prima degli anni Ottanta non aveva ancora i denti di dracula, Franco Basaglia ha avuto ragione. Diceva: «Non mi interessa vincere ma convincere» e convincere non può prescindere dalla comunicazione. Ecco perché era un comunicatore programmatico e, non dovendo vendere il suo fascino ma una storia di liberazione collettiva, alla fine convinceva e la tv lo serviva in questo viaggio. Era iniziato con Zavoli; sua la prima troupe a varcare i cancelli di Gorizia. La bella fiction di Raiuno cita correttamente l'evento, perché di evento si trattò: nessuno in Italia e non solo aveva mai visto l'interno di un manicomio senza veli da uno schermo televisivo, nessuno aveva mai visto – tantomeno in tv – una assemblea in cui parlavano i «matti». Franco voleva che la gente sapesse cosa accadeva in un «luogo» simbolo della paura, popolato non di fantasmi ma di donne e uomini costantemente sotto tortura. Gli interessava si sapesse nelle cucine degli italiani che anche un simbolo della paura può essere abbattuto e che poi si sta meglio tutti, chi stava dentro e chi stava fuori. Gli stava a cuore si potesse apprezzare che la liberazione è una strada faticosa, tutta da inventare, che è una pratica di per se terapeutica e che cambia ciò che sembrava destinato a non cambiare mai. Per questo, i cancelli di Gorizia e di San Giovanni a Trieste furono attraversati da centinaia di troupe tv venute da tutto il mondo. Franco non diceva mai di no, al massimo era costretto a rinviare le interviste di qualche giorno e forse qualcuno si è risentito per questo. Ma tutto qui. Accettava di buon grado anche gli studi televisivi. A dire il vero, in casa c'era quasi sempre un dibattito sul tema e Franca era molto più severa di lui: perché, obiettava, andare da chi in realtà voleva «bombardare» quella esperienza di liberazione? Andava. Bisogna dire che Costanzo gli offrì con grande convinzione la sedia del suo showpiù di una volta. Semplice, diretto, con un accento fortemente veneziano che non tentava nemmeno di correggere, diceva la sua, polemizzava, sorrideva, si arrabbiava. Una sera attaccò l'intera classe medica e il suo potere, a casa sua furono costretti a staccare il telefono. Di questa fiction avrebbe detto che era utile e ben fatta ma che lui era più alto di Gifuni.
da L'Unità , 9 febbraio 2010 

http://www.mymovies.it/film/2010/ceraunavoltalacittadeimatti/

http://www.news-forumsalutementale.it/c%E2%80%99era-una-volta-la-citta-dei-matti-storia-e-favola-di-san-giovanni/

 


Vitaliano Trevisan - Oscillazioni

8 Ottobre, ore 21.00 - 22.30
Teatro Goldoni

Ingresso: € 7
Prevendita: Libreria Goldoni - San Marco 4742
Lunedì-Sabato 9.30 - 19.30
Vendita: Teatro Goldoni
8 Ottobre 17.00 - 21.00

L’ambiguità, la ferocia, la banalità, il dolore, la solitudine. Il teatro di Vitaliano Trevisan dà voce a personaggi forse perversi, talvolta paranoici, ossessionati da unapresenza che scompagina la vita, come quella del figlio non voluto in Oscillazioni, soggiogati da un’assenza traumatica. Ma in gioco, in definitiva, ci sono la presenza e l’assenza di sé, il ritrovarsi o il perdersi nelle proprie autorappresentazioni, consolatorie o masochiste che siano. La vena dell’autore è intimamente tragica, ma di un tragico scarnificato, essenziale, senza alcuna enfasi. Con dei finali sospesi, che lasciano aperte delle porte, anzi delle finestre, da cui i personaggi (e gli spettatori metaforicamente) si possono buttare oppure no.

Vitaliano  Trevisan  è  nato  a  Sandrigo  nel  1960.  Ha  pubblicato  per  Einaudi  Stile  libero  I quindicimila  passi,  un  resoconto  (2002,  vincitore  del  Campiello Francia  nel  2008), Un mondo meraviglioso,  uno  standard  (2003), Shorts (2004, vincitore del Premio Chiara), Il ponte, un crollo (2007) la raccolta Grotteschi ed Arabeschi (2009), e Tristissimi Giardini, di recente uscita per Laterza.  I  suoi  libri  sono  tradotti  in Francia per Verdier  e  Gallimard.  La  sua  produzione  teatrale  include l’adattamento di Giulietta di  Federico  Fellini  con Michela Cescon (2004), Il lavoro rende liberi per la regia di Toni Servillo (2005), e il monologo  Solo  RH  portato  sulla  scena  da  Roberto Herlitzka  nel 2007. Per il cinema è stato sceneggiatore e attore in Primo amore di Matteo  Garrone  e  attore  in  Riparo  di Marco  Simon  Puccioni.  Di recente ha partecipato come attore alla miniserie per Sky Nel nome del male con la regia di Alex Infascelli e alla produzione Rai C'era una volta la città dei matti, per la regia di Marco Turco.