Verso il festival dei matti 2022

C’è un tempo votato a saldare identità, ad accorpare pezzi di storia, schegge di esperienza e di memoria in trame lineari in cui rintracciamo i ritratti di noi stessi. E poi accade un tempo contrario, dissestato, che disfa i congegni identitari precipitandoci ubriachi a cercare qua e là le nostre tracce, d’un tratto sfumate chissà dove. La dodicesima edizione del Festival dei Matti, che si terrà a Venezia i giorni 24, 25 e 26 giugno si intitolerà “Favole identitarie 2022” mantenendo il titolo della precedente edizione, perché oggi più di ieri ci sembra urgente interrogarci sull’identità e le sue derive esasperate dal mondo della pandemia a dispetto della ostinazione securitaria che impone ovunque le categorizzazioni delle vite e sempre più ferrei dispositivi di confinamento.

Sano, malato, normale, matto, cittadino, straniero, regolare, irregolare, abile o disabile sono parole di un vocabolario di larghissimo consumo, ritenute necessarie a dire chi siamo, da dove proveniamo, a cosa apparteniamo, cosa ci si può aspettare da noi, come abitiamo il nostro ordine del mondo. Parole che sanciscono la nostra “identità”, il nostro profilo sociale. Ma queste parole ci servono o ci asservono? Di cosa sono fatte le ”identità” di cui parlano, di quali discorsi, saperi e poteri si sostanziano? Parleremo di “favole identitarie” perché, dietro le quinte di quelle parole si scorgono racconti impastati di invenzione e consolazione, racconti monolitici, lacunosi, ignari delle proprie zone d’ombra, dimentichi della propria genealogia; racconti fortezza a cui assegnamo il compito di precederci, di farci strada, di darci collocazione morale e politica ma che rischiano di inchiodarci a trame senza via d’uscita. Raramente infatti, fatte salve lievi varianti private che ci danno l’idea di potervi appartenere contrattandone il finale, le favole identitarie danno agio a movimenti che possano smentirle. Ben più spesso, se non le teniamo d’occhio, disegnano mondi di pietra in cui diventa impossibile abitare. A queste favole il pensiero critico cerca di opporre resistenza e può riuscirci almeno fino a che non smarrisce la consapevolezza delle proprie contraddizioni trasformandosi esso stesso in una favola identitaria, forse persino piu insidiosa delle altre.